Un gruppo di geologi e ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche, Istituto di vulcanologia, Geomagellan e Università Roma Tre ha studiato e analizzato le emissioni della fumarola nata il 24 agosto scorso nella rotatoria davanti all’aeroporto Leonardo da Vinci e, grazie ad una serie di indagini, ha individuato dove si accumula il gas in pressione. Ad una profondità di 40-50 metri nel sottosuolo in uno strato di ghiaia spesso tra i cinque e i dieci centimetri. Ghiaia che ospita una falda acquifera confinata tra due «piani» di argilla. Quello inferiore è più permeabile : lascia filtrare l’anidride carbonica, l’acido solfidrico e l’azoto prodotti dai vulcani dei Castelli Romani e dai Monti Sabatini, inattivi da secoli ma non ancora spenti. «Lo strato superiore è impermeabile ai liquidi e sigilla gas pressurizzato e falda acquifera e costituisce pertanto una fonte di pericolo durante durante la perforazione di pozzi, cave, scavi connessi alla costruzione di edifici», scrive Andrea Billi del Consiglio Nazionale delle Ricerche che, insieme ad un pool di geologi e ingegneri ha realizzato uno studio sul geyser di Fiumicino, pubblicato sul « Journal of Volcanology and Geothermal Research»
Il risultato a cui sono giunti gli esperti, dopo mesi di analisi dei dati raccolti, è che «altri geyser possono spuntare in qualsiasi momento a Fiumicino». E che «vulcanetto», come era stato ribattezzato dagli abitanti della città portuale alle foce del Tevere, pare sia proprio il nome più adatto. Perché l’area su cui poggia Fiumicino fa parte dell’antica caldera del medio Tirreno di cui i Colli Albani e i Monti Sabatini rappresentano le propaggini periferiche. «Strutture simili – sottolinea Billi – sono ben note in tutto il mondo, come in Islanda, Giappone e negli Stati Uniti, nel parco di Yellowstone in particolare. Le fumarole sono potenzialmente pericolose quando si verificano all’interno o nei pressi zone abitate sia per i gas letali emessi che per altri fenomeni connessi». A Fiumicino, nonostante la tossicità dell’anidride carbonica che ha continuato a uscire dalla fumarola per settimane, case e negozi non sono stati sgomberati. Eppure erano a meno di centro metri dal vulcanetto.
La prima volta in cui il fenomeno è stato documentato era il 1890, durante la perforazione di un pozzo. Poi negli Anni Venti, negli scavi per la realizzazione della vetreria. L’ultimo geyser è sbucato un paio di mesi fa lungo via Portuense, durante i sondaggi per il tunnel sotto il Tevere che dovrà unire l’Isola Sacra a Fiumicino. È stato sigillato dopo neppure 48 ore. Ma il rischio resta. «Non è escluso che ci possano essere sacche di gas anche più profonde e altre, già accertate in realtà, più superficiali», recita lo studio del Cnr. «Queste manifestazioni sono potenzialmente pericolose per l’emissione di gas mortali, tra cui l’acido solfidrico e l’anidride carbonica». A preoccupare ancor più i geologi è che nei resti della gigantesca caldera che si è formata a partire dal Pleistocene non c’è soltanto Fiumicino ma buona parte dei quartieri occidentali e sudoccidentali di Roma. Venti campioni di terreno prelevati hanno confermato la dinamica del «degasamento» del litorale ma hanno pure rivelato qualcosa che molti sospettavano: la falda d’acqua dolce si sta ritirando ed è sempre più contaminata daquella di mare, salatissima. Il litorale romano «sta vivendo diffusa infiltrazione di acqua salata e la contaminazione dei pozzi di approvvigionamento idrico». Il problema, sostiene il Cnr, «è emerso negli ultimi dieci anni». Di conseguenza «l’acqua contaminata subisce progressivamente un deterioramento della qualità, divenendo inadatta sia per uso domestico che per scopi agricoli». La soluzione salina è stata rilevata ad una profondità di tredici metri vicino al Canale di Fiumicino, nei sondaggi effettuati tra via del Faro e Villa Guglielmi. Inoltre, in un piezometro situato a pochi chilometri a sud, acqua salina è stato trovata a 25,9 metri nel sottosuolo, confermando l’intrusione del mare nella falda.
Alessandra Zavatta
Nessun commento:
Posta un commento