Fino a 20 anni fa alla professione odontoiatrica piaceva pensare che fosse una mummificazione del dente morto completamente riuscita, che non provocasse il seppur minimo rilascio tossico nell’organismo.
Ma ora tre tipi di analisi cliniche hanno smentito ciò:
- Per prima cosa, tutti i denti devitalizzati risultano infetti da potenti batteri anaerobici, al cui confronto le tossine del tetano o del botulismo sembrano pargoletti innocui.
- Per seconda cosa, il prof. Boyd Haley ha misurato il rilascio cronico nell’organismo di basse dosi di tossine del metabolismo dei batteri presenti nei denti devitalizzati.
- Per terza cosa, il Prof. Jerry Bouquot ha dimostrato con l’analisi sonografica applicata alla mandibola (“Cavitat”) che il 100% dei denti devitalizzati accumula negli anni sull’osso adiacente livelli crescenti di metaboliti dell’infiammazione che portano ad osteonecrosi ed infezioni ossee gradualmente progressive (cavitazioni ossee).
L’unico successo di cui la devitalizzazione si può veramente vantare è che, avendo ucciso il dente e avendo intossicato chimicamente il dente e i tessuti circostanti, il tessuto non ha più la possibilità di dare reazioni locali al micro-marciume e all’infiammazione cronica che è lì e che da lì può iniziare ad invadere l’organismo.
Perché c’è stato questo fallimento nella mummificazione del dente morto?
Un pezzo di carne morta marcisce dopo un po’, diventa strano, lo stesso succede ai canali secondari di polpa che il dentista non ha proprio visto quando andava a fare la devitalizzazione.
Non li ha visti e quindi non li ha rimossi perché è proprio una impossibilità stabilire un contatto visivo o manuale con il delta di canalicoli secondari alla radice del dente oppure con i canalicoli secondari che terminano nelle pareti del dente.
Questi canali secondari di polpa sono super soggetti alla putrefazione e si trasformano in materiale batterico anaerobico.