«...Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo... l'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo.» (Giordano Bruno)
Visualizzazione post con etichetta global warming. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta global warming. Mostra tutti i post
martedì 2 giugno 2015
martedì 18 giugno 2013
Clima pazzo, arrivano i granchi a Mosca.
L’inizio della stagione estiva ha offerto ai moscoviti non poche sorprese legate alla natura. Tra di essi, non solo i capricci del tempo, ma anche gli evidenti mutamenti della flora e della fauna dei parchi cittadini. Forse il riscaldamento globale, di cui gli scienziati parlano già da anni, apporta le sue correzioni all’ambiente molto più in fretta di quello che si pensava.
L’insolitamente breve primavera ha afflitto gli abitanti della capitale con un’invasione di Bibionidae e di Acari della foresta. Ma all’inizio dell’estate sono arrivate anche delle buone notizie: per esempio, nel corso superiore della Jauza sono comparsi granchi e ghiozzi. È un segnale affidabile che il fiume è diventato più pulito. I pescatori più accaniti confermano all’unisono che la scardola locale ha acquisito forme più consistenti ed è diventata simile al suo omologo del sud, che abita nelle acque del Don e del Kuban’. Nelle reti sono apparse anche delle lasche di dimensioni sorprendenti, di cui in passato si poteva solo leggere nei libri del naturalista russo del XIX secolo Leonid Sabaneev. Nei laghetti di Mosca hanno iniziato a gracidare le rane, quasi raddoppiate, in modo assolutamente inaspettato. Sulla riva, invece, camminano delle vocianti casarche comuni di color rosso chiaro, arrivate da chissà dove. E sono solo alcuni dei segni del cambiamento in atto. Piante e animali reagiscono piuttosto in fretta ai mutamenti climatici, spiega il coordinatore del programma per la tutela della biodiversità del Fondo mondiale per la natura (WWF) di Russia, Vladimir Krever:
Cambia la popolazione di molte specie, cambia l’habitat di loro diffusione. La tendenza è chiara: le specie settentrionali vanno ancora più a nord, mentre quelle meridionali le seguono a ruota. Non possiamo dire che tra cinque anni nella oblast’ di Mosca cresceranno le banane o le ananas, ma possiamo dire che lo spostamento e la limitazione dell’habitat dell’orso e dell’orso polare avverranno in un futuro prossimo.
È indispensabile tenere conto dell’influenza del clima, ma in ogni caso concreto occorre anche valutare tutti i nessi di causa-effetto, come dice, nel richiamare alla prudenza nelle conclusioni, il direttore del programma “Klimat i energetika” (Clima ed energetica) Aleksej Kokorin:
Come esempio posso riportare la comparsa dello squalo nella zona di Vladivostok: si sono avuti come risultato anche degli incidenti seri, sono morte delle persone. È un caso che viene studiato da più parti. È stato chiarito che là vi era la contemporanea influenza di alcuni fattori: sia le acque più calde, cosa legata la clima, sia il cosidetto cibo addizionale; avevano cioè buttato pezzi di carne come esca per il pesce, ma ciò aveva attirato gli squali. Bisogna dire che questa è una situazione tipica. Per le stesse rane e zanzare potrebbe essere importante in una certa misura il clima, ma forse vi è anche un’altra causa. È difficile stabilire in quale proporzione.
I ricercatori dell’Università britannica di York hanno studiato i cambiamenti dell’habitati di 2000 diverse specie biologiche, dalle alghe ai mammiferi, negli ultimi 40 anni. Le loro conclusioni sono pienamente accertate: animali e piante si spostano dall’equatore verso i poli. Tra l’altro, la velocità media del loro spostamento è di 17 chilometri al decennio, tre volte più rapidamente di quello che si pensava prima.
Se continuerà così, prossimamente i moscoviti assisteranno all'occupazione volatile, strisciante, saltellante e vegetale della capitale da parte di specie vegetali e animali provenienti dal sud. Quanto sia positivo è argomento per un discorso a parte, ma motivi per stupirsi ce ne saranno ancora molti.
Etichette:
2013,
biodiversità,
global warming,
habitat,
riscaldamento globale
Ubicazione:
Mosca, Russia
mercoledì 22 agosto 2012
Geoingegneria - Nuvole artificiali per contrastare il Global Warming
Ci risiamo con l’ecology fiction: un team di geoingegneri e fisici dell’atmosfera ha riproposto la creazione di nuvole artificialiper contrastare gli effetti del riscaldamento globale. Rob Wood della University of Washington sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society rispolvera infatti l’ipotesi di impiegare navi futuristiche (le vedete nella foto a lato) per lanciare delle soluzioni saline sugli oceani e dare origine a nuvole riflettenti capaci di schermare i raggi solari, diminuendo l’aumento delle temperature dovuto all’effetto serra.
L’idea di Wood è di testare la validità di questo metodo partendo con un esperimento su piccola scala per poi prendere in considerazione applicazioni a largo raggio, in caso l’esperimento restituisca risultati interessanti. Ma come funzionerebbero queste nuvole nello specifico?
La teoria su cui si basa questo metodo è che aggiungendo particelle sopra l’oceano, in questo caso di acqua marina salata, si stimola la formazione di nubi più grandi e stabili. Un valido schermo capace di riflettere i raggi solari. Le nuvole si formano quando l’acqua si accumula attorno alle particelle, ma l’acqua è presente in quantità limitate nell’atmosfera, irrorando più particelle si verrebbero dunque a formare più goccioline, anche se di dimensioni inferiori. Gocce più piccole che occupano una superficie più ampia riescono a riflettere meglio la luce solare, creando un effetto di raffreddamento sulla Terra.
Alle critiche sulle implicazioni ambientali ed etiche che accompagnano qualsiasi esperimento di geoingegneria (la manipolazione dell’ambiente con la tecnologia è da sempre tema controverso), gli scienziati replicano che l’effetto di un esperimento su piccola scala durerebbe pochi giorni e servirebbe a chiarire anche come agiscono le particelle inquinanti che hanno un effetto simile.
Geoingegneria e manipolazione climatica: chi controlla il tempo che fa?
la mappa mondiale delle modificazioni climatiche (GUARDIAN) "Gruppo ETC ha prodotto una mappa del mondo di geoingegneria che rappresenta il primo tentativo di descrivere la portata più ampia di ricerca e sperimentazione in larga scala la manipolazione del clima della Terra.Fonte
Nelle scienze applicate con il termine geoingegneria si designa l'applicazione di tecniche artificiali di intervento umano sull'ambiente fisico (atmosfera, oceano, biosfera, criosfera, idrosfera, litosfera ecc..) volte a contrastare i cambiamenti climatici causati dall'uomo.[1][2]
La geoingegneria è oggi un costrutto teorico che ha per oggetto l'uso di tecniche di ingegneria planetaria per, ad esempio, ridurre la presenza di CO2 in atmosfera. (Wikipedia)
|
domenica 19 agosto 2012
Avremo inverni sempre più freddi?
Cornell Charles H. Greene, professore di
scienze della terra e dell’atmosfera, e Bruce C. Monger, ricercatore di
scienze meteorologiche, hanno pubblicato nel numero di giugno della
rivista Oceanography il
loro studio spiegando che “tutti pensano ai cambiamenti climatici
dell’Artico, certi che questo fenomeno a distanza avrà scarso effetto
sulla nostra vita quotidiana. Ma ciò che sta succedendo nella regione
artica cambierà il clima nelle nostre zone”
In sostanza i due esperti spiegano che il global warming provoca
un maggiore scioglimento del ghiaccio marino del polo nord durante
l’estate, esponendo la scura acqua dell’oceano alla luce solare. Questo
provoca un maggior assorbimento della radiazione solare e il calore in
eccesso viene rilasciato in atmosfera, soprattutto durante l’autunno,
facendo crollare le temperature e i valori di pressione proprio tra
l’Artico e le medie latitudini dell’emisfero nord. Secondo gli
scienziati, ciò provocherebbe un indebolimento dei venti associati al vortice polare e alla corrente a getto,
consentendo così all’aria fredda di proiettarsi molto più spesso alle
basse latitudini, com’è già successo negli ultimi tre inverni in modo a
volte drammatico, in termini di freddo e neve, sull’Europa e sul nord
America.
Le osservazioni più recenti presentano
una nuova svolta alla oscillazione artica: “quello che sta succedendo
ora è che stiamo cambiando il sistema climatico, in particolare nella
regione artica, e che sta aumentando le probabilità per le condizioni AO
negative, che favoriscono invasioni di aria fredda e gravi tempeste
meteorologiche invernali a latitudini più basse” ha detto Greene.
Il rallentamento della Corrente del Golfo
Un ulteriore fattore di raffreddamento del clima terrestre potrebbe essere l'effettivo rallentamento della Corrente del Golfo. Il ricercatore Uwe Send, dello Scripps Institution of Oceanography della
California, assieme ad alcuni colleghi, ha analizzato i dati raccolti
tra il gennaio 2000 e il giugno 2009 da alcune boe oceaniche facenti
parte del programma MOVE (Meridional
Overturning Variability Experiment) e ha così ottenuto la conferma che
nell’ultimo periodo la portata della Corrente del Golfo (cioè la
quantità di acqua calda trascinata) si è ridotta di circa il 20%: si
tratta della prima prova scientifica di un effettivo rallentamento della
Corrente del Golfo.
Tuttavia secondo il team di ricercatori
il rallentamento non sarebbe causato dallo scioglimento della Calotta
Artica (e dal conseguente “annacquamento” delle acque della Corrente)
quanto piuttosto da una naturale variabilità, ed è molto probabile che
nell’arco di pochi anni la Corrente del Golfo torni alla precedente
portata. Insomma, gli stessi studiosi si mostrano assai scettici su un
imminente raffreddamento del clima europeo causato dallo scioglimento
dei ghiacci artici e in ogni caso si possono escludere eventi
catastrofici come quelli descritti nel noto film (esagerati proprio per
esigenze cinematografiche).
La comprensione di queste fluttuazioni
della Corrente del Golfo rimane comunque obiettivo fondamentale per
arrivare un giorno a realizzare proiezioni climatiche su lungo periodo
più affidabili e dettagliate, e in questo senso preziosissime saranno le
informazioni che arriveranno nei prossimi anni dalle 20 boe marine
dislocate nel 2004 tra le Canarie e le Bahamas nell’ambito del programma
Rapid Climate Change Project.
I ghiacciai delle montagne asiatiche crescono
Un ulteriore conferma alle ricerche di
Greene e Send proviene da una da uno studio satellitare delle montagne
asiatiche che ha lasciato i climatologi molto sconcertati. Il nuovo
studio ha preso in esame i dati satellitari degli ultimi 10 anni per
studiare la catena montuosa del Karakorum,
nel Pakistan del nord e nell'ovest della Cina. I ricercatori hanno
scoperto che i ghiacciai del Karakorum - che rappresentano il 3 per
cento del totale della superficie coperta di ghiaccio del pianeta -
hanno aumentato il loro spessore di 0,11 metri tra il 1999 e il 2008.
Questi risultati confutano tutte le previsione catastrofiche dei
climatologi negli ultimi anni, che volevano i ghiacciai terrestri in
forte arretramento a causa del riscaldamento globale.
I ghiacciai della catena montuosa del Karakorum
Tuttavia, gli esperti avvertono che il
guadagno è così piccolo che non si può affermare che i ghiacciai siano
in crescita. E' però vero che non si stanno nemmeno riducendo. Etienne
Berthier, glaciologo presso l'Universitè de Toulose, in Francia, dice che "non tutte le regioni glaciali stanno cambiando allo stesso modo".
Una stima precendente del prof. John Wahr, Università del Colorado,
sull'arretramento dei ghiacciai delle montagne asiatiche aveva previsto
una perduta fino a 50 miliardi di tonnellate l'anno. Anche le Nazioni
Unite si erano spinte in previsioni fosche per il futuro del clima
terrestre sostenendo che un quinto dei ghiacciai dell'Himalaya si
sarebbe sciolto entro il 2035, con conseguente aumento del livello dei
mari e della siccità.
In tutto il mondo, la fusione è stata
sopravvalutata. I ghiacciai terrestri e le calotte polari stanno
perdendo circa 150 miliardi di tonnellate di ghiaccio ogni anno, circa
il 30 per cento in meno di quanto era stato previsto. Il gap tra le
stime precedenti e quelle attuali è dovuto al miglioramento degli
strumenti di monitoraggio. Il principale artefice delle nuove
rivelazione è GRACE,
un sistema di osservazione composto da due satelliti orbitali. Lanciati
nel 2002, i due satelliti lavorano in tandem orbitando 16 volte al
giorno attorno alla Terra ad un'altitudine di 300 miglia. I satelliti
sono in grado di misurare i cambiamenti nel campo gravitazionale
terrestre causato da cambiamenti di massa in alcune regioni del globo,
tra cui lastre di ghiaccio, gli oceani e l'acqua immagazzinata nel
terreno e nelle falde acquifere sotterranee.
Conclusioni
Inutile ricordare quanto accaduto a
febbraio in Europa, o lo scorso anno a dicembre negli Usa e sulle isole
Britanniche. Greene e Monger ha fatto notare che, però, il loro studio
viene pubblicato subito dopo uno degli inverni più caldi negli Stati
Uniti orientali, quello concluso pochi mesi fa. “E ‘una grande
dimostrazione della complessità del nostro sistema climatico e di come
vari elementi influenzano i nostri modelli climatici regionali“, ha
detto Greene.
In una regione particolare, molti
fattori possono infatti avere un’influenza, tra cui il fenomeno del Niño
e della Niña nell’oceano Pacifico. Ma gli esperti hanno spiegato che
ogni regione ha un clima a sè e che se è vero, da un lato, che negli Usa
è stato un inverno molto caldo, è anche vero che l’Alaska e l’Europa
hanno avuto freddo e neve da record e che, nel suo complesso termico
globale, il mese di marzo 2012 è stato il marzo più freddo degli ultimi
13 anni! “Ed è questo che ci dobbiamo aspettare per il futuro – conclude
Green – con tempeste invernali, freddo e abbondanti nevicate sempre più
frequenti nel nord America e in Europa“.
A quanto pare,oltre al grande caldo dobbiamo aspettarci anche un grande freddo.
domenica 5 agosto 2012
Global warming: le fioriture algali del Mar Baltico destinate ad aumentare
Un team di ricercatori danesi, tedeschi, olandesi, norvegesi e svedesi, coordinati da Karoline Kabel e Matthias Moros del Leibniz-Institut für Ostseeforschung Warnemünde, ha lanciato un nuovo allarme per il già stressato ecosistema del Mar Baltico: «Un ulteriore global warming potrebbe portare allo sviluppo di maggiori fioriture algali blu-verdi e alla comparsa di condizioni con minore presenza ossigeno».
In diverse aree del Baltico le fioriture algali sono già un grosso problema e sono collegate all'aumento di vaste "dead zone", prive di ossigeno e dove ormai la vita è praticamente scomparsa. «In densità molto elevate, le fioriture algali possono decolorare l'acqua e prevalere, avvelenare o asfissiare le altre forme di vita nel mare», sottolineano i ricercatori.
Negli ultimi anni gli scienziati hanno notato un aumento dell'estensione e del numero delle enormi fioriture algali blu-verdi o di cianobatteri, dovute in parte ad una maggiore immissione nel Baltico di sostanze nutrienti, soprattutto fosforo e azoto, provenienti dall'agricoltura intensiva. Ma anche le variazioni della temperatura sono un fattore chiave di questo disastro ambientale. Il team ha presentato su Nature Climate Change nuove prove a sostegno di questa teoria. Gli scienziati sottolineano «Il ruolo svolto dalle temperature nel favorire l'incremento di sostanze nutrienti» dicono che «Un aumento senza sosta della temperatura non potrà che far peggiorare il problema».
Il bollettino scientifico dell'Ue Cordis scrive che il team di ricerca per i suoi studi ha utilizzato un nuovo metodo, il TEX-86, che ha reso possibili stimare con precisione le temperature del passato: «Le analisi di composti biologici sensibili alla temperatura trovati nei sedimenti potrebbero essere quindi usate per quantificare i passati cambiamenti della temperatura, in tempi in cui i termometri non erano disponibili. L'interpretazione delle informazioni sedimentarie è stata ulteriormente supportata dall'applicazione di modelli di ecosistemi, che sono stati usati per calcolare la sensibilità dell'ecosistema alla combinazione di temperatura e concentrazioni di sostanze nutrienti nel mar Baltico».
Eystein Jansen del Bjerknes centre for climate change di Bergen, in Norvegia, sottolinea che «Per isolare l'effetto della temperatura, gli scienziati hanno dovuto far andare a ritroso nel tempo le loro ricerche fino a un periodo precedente all'agricoltura industrializzata su larga scala, prima che l'aumentato apporto di sostanze nutrienti avesse un'influenza importante. questo studio combina simulazioni di modelli di ecosistemi con studi sui climi del passato: "Si tratta di un lavoro eccitante e all'avanguardia che mostra l'utilità di combinare studi sulle naturali variazioni climatiche del passato con quelle che avvengono adesso e quelle che potrebbero avvenire in futuro. La maggior parte delle acque che scorrono lungo la costa della Norvegia meridionale hanno origine nel Baltico, quindi i risultati possono avere implicazioni anche in uno scenario più vasto».
Il Bjerknes centre spiega che «utilizzando campioni di sedimenti che coprono gli ultimi 1000 anni di sedimentazione nel mar Baltico, gli scienziati essi sono riusciti a svelare periodi caldi nel passato anch'essi caratterizzati da fioriture algali e basso contenuto di ossigeno. Lo studio si spinge fino al periodo caldo medievale: da 1.000 a 800 anni fa. Nel periodo successivo, spesso chiamato la "Piccola era glaciale", le temperature nel Baltico crollarono di 3-4 gradi. Durante questa ondata di freddo le condizioni nel Baltico erano molto più salubri, fino a che le fioriture e le condizioni deossigenate non emersero nuovamente nel 20° secolo».
Sembra però che la presenza di fioriture algali vari da zona a zona: a giugno i ricercatori del Centro di ricerca marina del Finnish environment institute hanno annunciato che «il rischio di fioriture algali blu-verdi al largo della costa della Finlandia, specificatamente nel Golfo di Finlandia e attorno alla sua imboccatura, questa estate è prevalentemente moderato, molto inferiore rispetto alla scorsa estate., mentre non sono previste grandi fioriture nel Golfo di Botnia». Ma hanno anche fatto notare che «nelle zone a sud del Mare dell'Arcipelago e in quelle a nord del Mar Baltico vero e proprio c'è un notevole rischio di fioriture algali».
Etichette:
2012,
alghe,
ciano batteri,
global warming,
Mar Baltico
Ubicazione:
Mar Baltico
mercoledì 18 luglio 2012
Fondazione Keshe: la soluzione per il cambiamento climatico | Segni dal Cielo - Portale web di UFO News, Cerchi nel grano, profezie maya, Convegni e seminari
In merito alle ricerche fatte dalla Fondazione Keshe esistono su Youtube
svariati video, tra cui quello relativo alla conferenza (in inglese) del
dott. Keshe che spiega quelle che sono le sue scoperte e le innovazioni
tecnologiche che potrebbero svilupparsi concretamente e potrebbero
cambiare radicalmente le sorti di una Umanità che sta andando verso la
distruzione, grazie al sistema di Potere CABAL....continua - fonte
mercoledì 11 luglio 2012
giovedì 2 giugno 2011
Aumento delle temperature e colera sono correlati?
La scoperta del collegamento tra il colera e i fenomeni atmosferici desta preoccupazioni per una maggiore diffusione della terribile malattia ma fornisce la chiave per una sua prevenzione
Un sistema in grado di prevedere l’insorgere di epidemie di colera con mesi di anticipo è stato realizzato dai ricercatori dell’International Vaccine Institute di Seul, che lo hanno comunicato sulle pagine dell’American Journal of Tropical Medicine and Hygiene. Il colera è una malattia batterica acuta intestinale causata da un ceppo del Vibrio colerae e rappresenta un terribile flagello nelle regioni tropicali, dove uccide oltre 100.000 persone ogni anno.
Con l’aumento complessivo delle temperature, gli esperti si attendono un espansione della malattia anche in regioni che prima ne erano relativamente immuni. Ed è proprio l’associazione del colera con i fenomeni atmosferici a costituire la chiave per prevederne la comparsa. I ricercatori hanno scoperto che un grado di aumento della temperatura media mensile è un segno che i casi di colera raddoppieranno nei quattro mesi successivi. Inoltre, un aumento mensile delle piogge di 200 millimetri comporta il 60% di casi di colera in più entro due mesi. La correlazione tra i casi di colera, le temperature e le precipitazioni è stata stabilita attraverso un’analisi dei dati storici della malattia, registrati tra il 1997 e il 2006 nelle isole dello Zanzibar, situate nell’Oceano Indiano presso le coste africane. Conoscendo lo scoppio del colera con qualche mese di anticipo, i servizi sanitari avranno la possibilità di adottare misure di prevenzione per combatterlo più efficacemente, avviando programmi di vaccinazione e distribuendo medicinali alle popolazioni più esposte. (r.t.)
domenica 6 febbraio 2011
A Potenza non nevica più?
di Gaetano Brindisi
POTENZA - A.A.A. cercasi disperatamente neve. Sarebbe proprio il caso di dirlo. Ormai le nevicate di una volta, specie per i meno piccoli, stanno diventando un ricordo che con gli anni tende a sbiadirsi sempre più. È vero che di tanto in tanto si verificano locali e talvolta anche abbondanti nevicate, ma quello che avrebbe dovuto essere la norma, sta diventando un’eccezione. Venti, trent’anni fa, le abbondanti nevicate facevano parte della vita quotidiana e molte volte, alla neve vecchia se ne aggiungeva altra dal cielo tanto da far apparire i marciapiedi come delle montagnelle di neve. I meno smemorati non possono non ricordare le file che i disoccupati facevano davanti al palazzo comunale di Potenza per farsi consegnare la pala e racimolare le 10.000 lire (quanto ci mancano…) per andare a liberare dal ghiaccio via Pretoria e le centinaia di scale che erano e che sono presenti nella città. Per non parlare dei ragazzini che, armati di bob e slittini, si lasciavano andare sulla neve partendo dalla zona di Porta Salza, andando a terminare la propria corsa nel fondovalle dove adesso sorge la corrispondente strada a scorrimento veloce. (chissà come sarebbe stata comoda la presenza delle attuali scale mobili di Santa Lucia per la risalita a monte…) Ma dov’è finita la neve? Davvero il global warming ha prodotto un tale riscaldamento da indurre un notevole innalzamento della quota neve durante la stagione invernale? Nessuna preoccupazione…; è vero sì che in Basilicata le nevicate negli ultimi anni si sono fatte sempre più rade e concentrate in pochi giorni all’anno ma se si guarda alle altre zone d’Italia possiamo subito affermare che le cose nelle altre regioni stanno diversamente. Pochi giorni fa in Sardegna ed in Calabria abbiamo registrato abbondanti nevicate fino a quasi un metro di altezza; due settimane fa la neve ha interessato tutte le regioni adriatiche da Rimini e Riccione fino al nord della Puglia; e a Campobasso (che una volta andava per nominata insieme a Potenza per una delle città più nevose d’Italia) sono caduti ben 50 cm. di neve. Allora come mai non nevica da noi? Colpa dei pozzi di petrolio in val d’Agri? Sicuramente qualche cambiamento a livello di microclima c’è e non si può negare, ma la spiegazione sta nell’avvenuto cambio di circolazione su scala globale delle grandi masse d’aria che hanno sempre caratterizzato il tempo sul Mediterraneo. Una trentina di anni fa c’erano le correnti dalla Russia che arrivavano direttamente dalle nostre parti senza essere richiamati dalla presenza di una bassa pressione al largo del Portogallo (cosa che sta avvenendo in questi ultimi anni). Spesso si formava una depressione sul golfo di Taranto che richiamava appunto aria gelida da nordest. Negli ultimi anni le nevicate sono decisamente aumentate su gran parte dell’emisfero settentrionale; Stati Uniti, Cina, Corea, Giappone, ecc. sono alle prese ogni anno con nevicate sempre più frequenti ed abbondanti. È solo la zona centro-occidentale dell’Europa che riceve la «mitigazione» dal flusso atlantico della corrente del «golfo».
POTENZA - A.A.A. cercasi disperatamente neve. Sarebbe proprio il caso di dirlo. Ormai le nevicate di una volta, specie per i meno piccoli, stanno diventando un ricordo che con gli anni tende a sbiadirsi sempre più. È vero che di tanto in tanto si verificano locali e talvolta anche abbondanti nevicate, ma quello che avrebbe dovuto essere la norma, sta diventando un’eccezione. Venti, trent’anni fa, le abbondanti nevicate facevano parte della vita quotidiana e molte volte, alla neve vecchia se ne aggiungeva altra dal cielo tanto da far apparire i marciapiedi come delle montagnelle di neve. I meno smemorati non possono non ricordare le file che i disoccupati facevano davanti al palazzo comunale di Potenza per farsi consegnare la pala e racimolare le 10.000 lire (quanto ci mancano…) per andare a liberare dal ghiaccio via Pretoria e le centinaia di scale che erano e che sono presenti nella città. Per non parlare dei ragazzini che, armati di bob e slittini, si lasciavano andare sulla neve partendo dalla zona di Porta Salza, andando a terminare la propria corsa nel fondovalle dove adesso sorge la corrispondente strada a scorrimento veloce. (chissà come sarebbe stata comoda la presenza delle attuali scale mobili di Santa Lucia per la risalita a monte…) Ma dov’è finita la neve? Davvero il global warming ha prodotto un tale riscaldamento da indurre un notevole innalzamento della quota neve durante la stagione invernale? Nessuna preoccupazione…; è vero sì che in Basilicata le nevicate negli ultimi anni si sono fatte sempre più rade e concentrate in pochi giorni all’anno ma se si guarda alle altre zone d’Italia possiamo subito affermare che le cose nelle altre regioni stanno diversamente. Pochi giorni fa in Sardegna ed in Calabria abbiamo registrato abbondanti nevicate fino a quasi un metro di altezza; due settimane fa la neve ha interessato tutte le regioni adriatiche da Rimini e Riccione fino al nord della Puglia; e a Campobasso (che una volta andava per nominata insieme a Potenza per una delle città più nevose d’Italia) sono caduti ben 50 cm. di neve. Allora come mai non nevica da noi? Colpa dei pozzi di petrolio in val d’Agri? Sicuramente qualche cambiamento a livello di microclima c’è e non si può negare, ma la spiegazione sta nell’avvenuto cambio di circolazione su scala globale delle grandi masse d’aria che hanno sempre caratterizzato il tempo sul Mediterraneo. Una trentina di anni fa c’erano le correnti dalla Russia che arrivavano direttamente dalle nostre parti senza essere richiamati dalla presenza di una bassa pressione al largo del Portogallo (cosa che sta avvenendo in questi ultimi anni). Spesso si formava una depressione sul golfo di Taranto che richiamava appunto aria gelida da nordest. Negli ultimi anni le nevicate sono decisamente aumentate su gran parte dell’emisfero settentrionale; Stati Uniti, Cina, Corea, Giappone, ecc. sono alle prese ogni anno con nevicate sempre più frequenti ed abbondanti. È solo la zona centro-occidentale dell’Europa che riceve la «mitigazione» dal flusso atlantico della corrente del «golfo».
lunedì 17 gennaio 2011
La Marsica trema di nuovo: 5 scosse in 6 giorni. Frana da 100 tonnellate, scuole ancora chiuse
IL MASSO CADUTO CON LA FRANA |
domenica 19 dicembre 2010
La Nasa conferma l’allarme: il 2010 l’anno più caldo
Secondo il Goddard Institute for Space Studies la situazione più preoccupante è nell’Artico
ROMA - Secondo il rapporto presentato dal ministero dell’Ambiente tempo fa, il 2010, dopo aver battuto tutti i record parziali, è l’anno più caldo da quando sono iniziate le misurazioni, 131 anni fa.A confermarlo i dati del Goddard Institute for Space Studies della Nasa.
Il primato a cui si riferiscono gli esperti statunitensi si riferisce all’anno climatico, usato dagli scienziati per le simulazioni, che inizia il primo dicembre e si conclude il 30 novembre, anche se le proiezioni parlano di un record confermato anche per l’anno solare.
Secondo i dati appena pubblicati, ripresi dal sito della rivista Science, la temperatura media mondiale dei 12 mesi passati è stata di 14,65 gradi, 0,65 in più rispetto alla media di riferimento, che è quella tra il 1951 e il 1980.
Una cifra superiore al record precedente, che era stato raggiunto nel 2005 con 14,53.
A determinare il caldo inusuale sono state le temperature della terraferma, schizzate a 14,85 gradi di media, che hanno largamente compensato la lieve diminuzione di quelle oceaniche.
Se si considera invece il solo novembre la colonnina di mercurio è schizzata ancora più in alto, a 14,74 gradi, relegando al secondo posto lo stesso mese del 2009, finora il più caldo con 14,68 gradi.
«La situazione più preoccupante è nell’Artico - spiega James Hansen, direttore dell’istituto - la baia di Hudson ha visto temperature di 10 gradi più alte rispetto alla media, anche a causa dell’assenza di ghiaccio in una zona che di solito ne era coperta».
Dai dati risulta inoltre che i maggiori aumenti si sono verificati nell’emisfero settentrionale, in cui l’incremento rispetto alla media dei mesi di novembre 1951-1980 è stato di 1,19 gradi.
Quello meridionale ha segnato un aumento di 0,48 gradi. Le anomalie più forti si sono registrate appunto nella fascia polare artica, con aumenti fino a 10 gradi centigradi e di 4 gradi nel Nord Europa, mentre in Italia lo scostamento è stato minore, tra 1 e 2 gradi.
Quanto l’aumento delle temperature sia più vicino del previsto agli obiettivi di Cancun si capisce ancora meglio se si guarda alle tendenze su tutto il secolo, sottolineano gli esperti: si vede che c’è stato un aumento che tocca ormai quasi un grado, di cui i quasi due terzi si sono verificati dopo il 1975.
Di questo passo gli effetti delle misure decise dai grandi potrebbero arrivare troppo tardi.
Di questo passo gli effetti delle misure decise dai grandi potrebbero arrivare troppo tardi.
martedì 17 agosto 2010
Polo Nord - secondo scienziati di Mosca, si scioglierà prima del 2080.
L’Artico si sta sciogliendo più velocemente di quanto ci si aspettasse. E la perdita di ghiaccio per questa stagione potrebbe toccare i livelli record raggiunti tre anni fa. Lo ha fatto sapere l’Agenzia per l'ambiente russa.
Gli ultimi dati in mano agli scienziati mostrano che il ghiaccio dell’Oceano Artico copriva circa 10,8 milioni di chilometri quadrati a giugno di quest’anno, meno che nello stesso periodo del 2007 quando aveva raggiunto un minimo storico. Anche se il record negativo è stato toccato il 16 settembre 2007 con un restringimento della superficie ghiacciata a 4,14 milioni di chilometri quadrati, rilevati dal National snow and data center degli Stati Uniti. “Il ghiaccio potrebbe arrivare al 30% in meno della media del periodo 1979-2000”, ipotizza Alexander Frolov, capo del Servizio federale di monitoraggio ambientale e idrometeorologico russo.
Gli scienziati, sia russi sia americani, indicano nel riscaldamento globale la causa di questo fenomeno. Fenomeno che potrebbe ridurre a zero il ghiaccio nell’Artico in estate entro poche decadi. Prima dunque del 2080, l’anno indicato dalle previsioni dell’Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni unite - l’Organizzazione meteorologica mondiale, Wmo, e il Programma Onu per l’Ambiente, Unep, - allo scopo di studiare il riscaldamento globale.
Gli ultimi dati in mano agli scienziati mostrano che il ghiaccio dell’Oceano Artico copriva circa 10,8 milioni di chilometri quadrati a giugno di quest’anno, meno che nello stesso periodo del 2007 quando aveva raggiunto un minimo storico. Anche se il record negativo è stato toccato il 16 settembre 2007 con un restringimento della superficie ghiacciata a 4,14 milioni di chilometri quadrati, rilevati dal National snow and data center degli Stati Uniti. “Il ghiaccio potrebbe arrivare al 30% in meno della media del periodo 1979-2000”, ipotizza Alexander Frolov, capo del Servizio federale di monitoraggio ambientale e idrometeorologico russo.
Gli scienziati, sia russi sia americani, indicano nel riscaldamento globale la causa di questo fenomeno. Fenomeno che potrebbe ridurre a zero il ghiaccio nell’Artico in estate entro poche decadi. Prima dunque del 2080, l’anno indicato dalle previsioni dell’Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni unite - l’Organizzazione meteorologica mondiale, Wmo, e il Programma Onu per l’Ambiente, Unep, - allo scopo di studiare il riscaldamento globale.
domenica 15 agosto 2010
Greenpeace Russia - «Ecco la mappa degli incendi radioattivi». C'è anche area Chernobyl.
LIVORNO. Greenpeace Russia ha pubblicato una mappa (nell'immagine) che dimostra come gli incendi che devastano la Russia europea si stiano diffondendo in tutte le aree forestali contaminate da radiazioni nucleari. «La mappa - spiegano gli ambientalisti russi - è stata prodotta utilizzando i dati dell'International atomic energy agency e le informazioni fornite dal Fire information for resource management basato sulle immagini satellitari del Modis, il sistema internazionale di monitoraggio degli incendi. La mappa, sulla base dei dati acquisiti il 9 agosto, mostra chiaramente che le aree nucleari contaminate soffrono di più di 20 incendi. Almeno 3 divampano nelle foreste altamente contaminata della regione di Bryansk».
Il ministro russo per le situazioni di emergenza, Sergei Shoigu, il 5 agosto aveva detto che «Ci sono solo due incendi nella regione di Brjansk, ma sono stati estinti precocemente». Poi aveva aggiunto: «Se il fuoco si sviluppa in questa zona può rilasciare nell'aria la contaminazione nucleare del disastro di Chernobyl in aria e comparirà una nuova area contaminata».
E' esattamente quello che si vede nella carta nella zona più scura della Russia che si incunea nei confini tra Ucraina e Bielorussia.
Vladimir Chouprov, campainer energia di Greenpeace Russia, sottolinea che «Il livello di radioattività non può arrivare al livelli causati dal disastro di Chernobyl. Ma non vorremmo che venisse sottovalutato il rischio di esposizione, perché sappiamo poco riguardo agli effetti sulla salute della combinazione di emissioni di CO e le radiazioni a basso dosaggio».
Il governo russo cerca di dare tutta la colpa di questo disastro ad una causa che fino a ieri guardava con malcelato scetticismo: il global warming. Alexander Frolov, a capo del servizio federale di meteorologia, ha detto che spulciando gli archivi ufficiali della Russia zarista-sovietica-eltsiniana-putiniana si è scoperto che l'ondata di caldo di quest'anno è la peggiore in 1.000 anni.
Greenpeace, che ha combattuto contro l'eco-scetticismo climatico dei politici russi, ora non ci sta a dare tutta la colpa al clima: «Vorrei aggiungere a questo che sono il sistema russo di gestione forestale e la terribile legislazione forestale hanno causato il disastro degli incendi peggiori in 1.000 anni - dice il direttore esecutivo di Greenpeace Russia Sergey Tsyplenkov - E l'errore più grande che possiamo fare ora è dare la colpa solo l'ondata di caldo».
Per gli ambientalisti russi quello che il Paese dovrà spendere quest'anno per la lotta contro gli incendi boschivi e per gestire le loro conseguenze, sarebbe stato sufficiente a finanziare per diversi anni il lavoro di un organismo di protezione statale delle foreste con 20.000 dipendenti. Invece la Russia quest'anno ha stanziato per la lotta antincendio 2,2 miliardi di rubli e nel 2009 ha speso 4-10 centesimi di dollaro per ettaro di terreni boschivi destinati ai vigili del fuoco, rispetto a circa 4 dollari negli Usa. Secondo Greenpeace la Russia dovrebbe investire almeno 30 miliardi di rubli per combattere gli incendi a livello nazionale. «Inoltre è essenziale istituire un sistema centralizzato di protezione aerea delle foreste per combattere su larga scala gli incendi boschivi (analogo al precedente "Avialesookhrana"), in particolare per assicurare il trasporto rapido dei vigili del fuoco e delle attrezzature dalle regioni a minore intensità di incendi alle regioni a maggiore intensità di incendi. Un avaro paga due volte. Se in Russia ci fosse un capace ed efficace servizio di Stato di protezione delle foreste, nel 2010 sarebbe stato possibile ridurre i danni della catastrofe del fuoco da 5 a 10 volte ed evitare le perdite umane».
Anche Réseau "Sortir du nucléaire", la federazione di 879 associazioni ambientaliste francesi, è preoccupata per quel che sta succedendo intorno agli impianti nucleari Russi, in particolare a quello di Mayak : «La centrale nucleare russa di Snejinsk è circondata dalle fiamme. La Russia ha anche decretato lo stato d'emergenza intorno al centro nucleare di Mayak, dove sono stoccate enormi quantità di scorie altamente radioattive».
Per "Sortir du nucléaire" il governo russo e quelli degli altri Paesi industrializzati non sembrano comprendere la gravità della situazione. Eppure il Centro nucleare di Mayak è un luogo tristemente noto: nel 1957 un difetto nel raffreddamento di un deposito di scorie altamente radioattive provocò un'esplosione che ha contaminato 23.000 km2 e più di 450.000 persone. Secondo gli antinucleari francesi l'attuale situazione in Russia potrebbe causare un incidente nucleare ancora più grosso: «Gli incendi rischiano di danneggiare i sistemi di raffreddamento delle installazioni nucleari russe (panne degli delle attrezzature di pompaggio o di ricircolo delle acque di raffreddamento, aumento delle temperature dell'aria, ecc.). I assenza di raffreddamento, il cuore di un reattore nucleare entra in fusione in qualche minuto. La fusione del cuore di un reattore russo porterebbe ad un incidente di una gravità paragonabile alla catastrofe di Chernobyl. La situazione drammatica che vive attualmente la Russia dimostra una volta di più che i reattori nucleairi sono molto vulnerabili agli eventi climatici estremi, la cui frequenza aumenta con il cambiamento climatico. E' quindi suicida pretendere utilizzare la tecnologia nucleare come "soluzione" di fronte ai cambiamenti climatici».
"Sortir du nucléaire" ricorda che questo non è una cosa che riguarda solo i russi: «nel 2003, 1/4 del parco nucleare francese ha dovuto essere fermato a causa della canicola estiva, che rendeva ancora più pericolosa lo sfruttamento dei reattori. Nel 1999, la centrale nucleare di Blayais, vicina a Bordeaux, ha sfiorato la catastrofe a causa di una inondazione, e la città stava ere sere evacuata. Le particelle radioattive diffuse nell'ambiente dagli incendi rischiano di contaminare la catena alimentare dove ricadranno. Numerosi radioelementi possono fissarsi nell'organismo per ingestione o inalazione e provocare delle malattie gravi, cancri, ecc. La gravità dei rischi che il nucleare fa pesare sulla salute e la sicurezza delle popolazioni non va più dimostrata. E' urgente che la Russia tragga la lezione da questa situazione di crisi e fermi rapidamente i suoi impianti nucleari. La Francia, che è il Paese più nucleare al mondo, deve anche lei impegnarsi urgentemente in un piano di uscita dal nucleare».
martedì 6 luglio 2010
Clima - Misurato il respiro della terra.
Due ricerche hanno stabilito che è il valore della fotosintesi e dell’anidride carbonica in relazione a temperatura
Per la prima volta è stato misurato il respiro della Terra: si tratta del valore globale della fotosintesi e quello del ciclo dell’anidride carbonica (CO2) in relazione alla temperatura. Il calcolo è stato messo a punto da due ricerche pubblicate sulla rivista Science e presentate oggi a Torino, in una conferenza stampa organizzata dalla stessa rivista scientifica internazionale nell’ambito dell’Euro Science Oper Forum (Esof). Nel primo studio, diretto da Christian Beer, dell’Istituto di biogeochimica Max Planck di Jena, Germania, i ricercatori hanno calcolato la produzione primaria lorda (PPL) della Terra, che rappresenta la quantità totale annua di biossido di carbonio assorbita dalle piante terrestri mediante fotosintesi. Con una nuova combinazione di osservazioni e modellazione, stimano che essa sia pari a 123 miliardi di tonnellate. Nel secondo studio, diretto da Miguel Mahecha, i ricercatori hanno esaminato gli effetti delle variazioni a breve termine della temperatura dell’aria sulla respirazione dell’ecosistema, ossia la reimmissione di biossido di carbonio nell’atmosfera da parte della Terra, mostrando che la sensibilità della respirazione dell’ecosistema alle variazioni a breve termine della temperatura sono simili in tutto il mondo. I ricercatori suggeriscono inoltre che, oltre alla temperatura, altri fattori, quali le lente e continue trasformazioni del carbonio nel suolo e la disponibilità dell’acqua, possano avere un ruolo cruciale nei bilanci del carbonio nell’ecosistema a lungo termine.
Per la prima volta è stato misurato il respiro della Terra: si tratta del valore globale della fotosintesi e quello del ciclo dell’anidride carbonica (CO2) in relazione alla temperatura. Il calcolo è stato messo a punto da due ricerche pubblicate sulla rivista Science e presentate oggi a Torino, in una conferenza stampa organizzata dalla stessa rivista scientifica internazionale nell’ambito dell’Euro Science Oper Forum (Esof). Nel primo studio, diretto da Christian Beer, dell’Istituto di biogeochimica Max Planck di Jena, Germania, i ricercatori hanno calcolato la produzione primaria lorda (PPL) della Terra, che rappresenta la quantità totale annua di biossido di carbonio assorbita dalle piante terrestri mediante fotosintesi. Con una nuova combinazione di osservazioni e modellazione, stimano che essa sia pari a 123 miliardi di tonnellate. Nel secondo studio, diretto da Miguel Mahecha, i ricercatori hanno esaminato gli effetti delle variazioni a breve termine della temperatura dell’aria sulla respirazione dell’ecosistema, ossia la reimmissione di biossido di carbonio nell’atmosfera da parte della Terra, mostrando che la sensibilità della respirazione dell’ecosistema alle variazioni a breve termine della temperatura sono simili in tutto il mondo. I ricercatori suggeriscono inoltre che, oltre alla temperatura, altri fattori, quali le lente e continue trasformazioni del carbonio nel suolo e la disponibilità dell’acqua, possano avere un ruolo cruciale nei bilanci del carbonio nell’ecosistema a lungo termine.
mercoledì 23 giugno 2010
La Marea nera può “arrivare” in Nord Europa?
Interessante quanto scritto in questo articolo, da cui ho tratto l'essenziale:
"....uno studio dell’ UCAR (University Corporation for Atmospheric Research), un dipartimento dell’Università di Boulder nel Colorado, ha simulato diversi scenari dimostrando che in un periodo di tempo variabile ma non eccessivo (da 90 a 120 giorni dal disastro iniziale) il flusso di petrolio raggiungerà il Nord Atlantico, distribuendosi su una superficie di oltre 900.000 Km quadrati, più della Francia e della Germania insieme.
In realtà le foto da satellite mostrano una situazione più grave di quella delle simulazioni, a soli 60 giorni dal disastro la quantità di petrolio nella Corrente del Golfo è maggiore di quella prevista dalle simulazioni.
Dobbiamo tener presente che la Corrente del Golfo ha un effetto importante sul clima del Nord Europa, portando acqua calda nel Nord Atlantico fino alle coste dell’Inghilterra, della Scozia e della Scandinavia. Una pellicola di sostanza oleosa su una superficie così grande ridurrà l’evaporazione, quindi nei prossimi mesi avremo minore umidità atmosferica, inoltre l’evaporazione provoca un raffreddamento dell’acqua, quindi l’acqua sarà più calda e leggera ed arriverà più lontano, verso le aree polari. Uno scenario inquietante per gli effetti sul clima globale.
Anche un altro effetto del disastro può diventare globale: circa il 35% della perdita è composto da idrocarburi leggeri, che in parte finiscono direttamente in atmosfera ed in parte vengono bruciati in “incendi controllati” sul posto. Nelle immagini da satellite si vedono con molta chiarezza i pennacchi di fumo ed una valutazione prudente porta alla spaventosa quantità di oltre 220.000 tonnellate di fuliggine ed anidride carbonica, a cui si aggiungono gli idrocarburi leggeri, in particolare metano. Anidride carbonica e metano sono gas serra e portano ad un riscaldamento dell’atmosfera, mentre la fuliggine ha un effetto schermante e la raffredda.
Non è detto che i percorsi atmosferici delle diverse frazioni siano gli stessi, quindi è difficile valutare quali effetti possano avere, e fino ad oggi non sono stati pubblicati studi in proposito.
Perciò preoccupiamoci, perché sembra proprio che nessuno se ne stia occupando....."
martedì 22 giugno 2010
Frank Fenner, fine della razza umana tra 100 anni?
Secondo Frank Fenner, l'uomo si estinguerà entro i prossimi 100 anni. Prevista l'estinzione anche di diverse specie animali. Il 95enne professore di microbiologia dell'Australian National University è categorico, ed illustra come non ci sia più spazio per alcun tipo di intervento. I primi cambiamenti climaticisono un segnale di avvertimento che si manifesterà in maniera molto più pesante nei prossimi decenni. L'esplosione demografica ed i pesantissimi consumi determineranno la fine della razza umana, incapace di adattarsi in maniera armonica con la natura. E' definita Antropocene l’era geologica attuale, un termine coniato nel 2000 dallo scienziato Paul Crutzen per definire un'era in cui il principale fautore delle modifiche climatiche è l'operato umano. Negli ultimi 100 anni l'uomo ha prodotto cambiamenti del clima che senza la presenza umana si sarebbero verificati nell'arco di migliaia di anni.
venerdì 8 gennaio 2010
Analisi Meteorologica del 2009, risultato più caldo del terribile 2003.
"Anche il 2009 va in archivio come un anno in cui l'anomalia termica sul pianeta è stata positiva rispetto alle medie trentennali climatiche, a dispetto dei titoli di giornale che, puntualmente, dopo ogni irruzione fredda, paventano imminenti ere glaciali in agguato. Il 2009 non si è distinto in modo particolare per le ondate di caldo e sarà ricordato di più per le 2-3 ondate di freddo che ci sono state nei mesi freddi, eppure il 2009 è risultato, nel complesso, più caldo del 2003, di cui tutti gli europei ricordano la terribile estate."
Questa è il sunto dell'analisi fatta dal Prof. Claudio Cassardo, Docente di Meteorologia e di Fisica dell'Ambiente all'Università di Torino. Il suo studio completo ed approfondito lo troverete CLICCANDO QUI
Questa è il sunto dell'analisi fatta dal Prof. Claudio Cassardo, Docente di Meteorologia e di Fisica dell'Ambiente all'Università di Torino. Il suo studio completo ed approfondito lo troverete CLICCANDO QUI
giovedì 31 dicembre 2009
Video - Discovery Channel, studio scientifico sul 2012
C'e' qualche fondamento scientifico nella profezia Maya secondo la quale il mondo come lo conosciamo finira' il 21 dicembre 2012? Per scoprirlo seguiamo un noto geologo mentre cerca prove e indizi.
mercoledì 9 dicembre 2009
Clima -Conferenza di Copenaghen
è di stamattina la notizia che Barroso ha dichiarato che gli accordi tra i paesi partecipanti, non sfocerà in un trattato vincolante (CLICCATE QUI).
Intanto la Organizzazione Meteorologica Mondiale ha dichiarato che il decennio 2000/2009 è stato il più caldo degli ultimi 160 anni (LEGGETE QUI
Iscriviti a:
Post (Atom)