Mirco GREGORI |
E' veronese l'erede di Marco Todeschini, l'ingegnere bergamasco che ha smentito una parte delle teorie di Newton e di Einstein. Mirco Gregori, ingegnere montefortiano quarantaquattrenne, è il primo al mondo ad aver replicato per pura passione il «motore impossibile» che dimostra quanto sia «relativa» la teoria della relatività sulla quale si basa la fisica moderna. Una sperimentazione, la sua, che rende giustizia allo scienziato bergamasco, ne riporta prepotentemente d'attualità le teorie e che è destinata a riaccendere la discussione sulla finitezza della fisica classica e su tutto il sapere che, secondo Gregori, sarebbe costruito su un assunto sbagliato. «Guardi qua: come può essere vera questa cosa?», dice Gregori mettendo il dito sotto i cardini della relatività. Insomma, lo vedrebbe anche un bambino delle scuole elementari che la formula C= C+V non sta né in cielo né in terra, «perchè come può una cosa essere uguale a se stessa più qualcosa d'altro, cioè, nel caso specifico, il postulato della costanza della velocità della luce?». Tutto, per Mirco Gregori, è partito da qui, o meglio da una domanda ancora più semplice: «Ma sarà vero che la luce ha una velocità e che sia la massima raggiungibile, e sarà vero che la terra galleggia nel vuoto?». Ce ne sarebbe abbastanza per diventare matti, ma l'ingegner Mirco Gregori è un tipo a dir poco pragmatico. Anzi, questo è il suo marchio di fabbrica. Lo ha imparato dalla vita ad esserlo quando, avviato a brillanti studi tecnici per via di un talento non comune per la meccanica e l'elettronica, si è trovato a interromperli a quattordici anni per andare a lavorare. A dire il vero, lavorare l'ha sempre fatto perchè è tra i carrelli dell'officina del papà, storico meccanico a Costalunga, che ha scoperto il suo talento. Va a lavorare, Mirco, e a vent'anni, aiuto carrellista all'Aia, si rivela: «Ci fu un blocco tecnico che paralizzò tutta la produzione. Mi feci avanti. Mi guardarono dubbiosi, ma alla fine mi dissero di sì: tolsi la scheda che governava le macchine, ci lavorai un po' e la produzione ripartì». Nulla di strano per uno che a 14 anni realizzava programmi per computer e si costruiva i videogiochi. Il signor Veronesi lo premia e così Mirco, alle scuole serali, conquista la maturità da perito tecnico e telecomunicazioni. Il resto è una corsa a perdifiato: due lauree, «ma basta scrivere che sono dottore in scienze informatiche e c'è dentro tutto», e lo studio sempre abbinato al lavoro. Dopo l'Aia c'è la Bauli e oggi il ruolo da responsabile dei servizi informativi di un colosso veronese della grande distribuzione organizzata. «Ma sì, è lavoro», taglia corto. «La passione è altra cosa». Già, altra cosa, cioè gli ultimi cinque anni di studio partiti da quelle domande: «Ho scoperto Nikola Tesla, il papà del sistema elettrico a corrente alternata e delle onde radio. Così ho conosciuto e mi sono innamorato di Todeschini». Cerca e ricerca, studia e ristudia, Gregori incontra Fiorenzo Zampieri, il depositario di tutto quello che Marco Todeschini ha scritto e fatto fino al 1988, anno della sua morte. Tutto o quasi perchè la sua rivoluzionaria invenzione, il «motore impossibile» che Gregori ha replicato, è letteralmente svanito nel nulla. E si capisce anche il perchè, «visto che a molti scienziati che si muovono con la mente libera, che sperimentano e discutono il consolidato si chiude la bocca. Antonella, la figlia di Marco Todeschini, me lo ha detto tra le lacrime vedendo il motore impossibile in funzione: a lei è andata meglio che ad altri congiunti di scienziati perchè le cose del padre sono state nascoste e non bruciate». Ma torniamo a Zampieri che negli occhi scuri di Gregori vede quella luce che lo convince che solo quell'ingegnere quarantenne farà rivivere Todeschini. Ecco perchè gli mette nelle mani tutto. E Mirco Gregori studia. Poi, due anni fa, trasforma tutto in realtà fisica e costruisce pezzo per pezzo il motore, con l'aiuto dell'amico Giancarlo. Ci hanno provato in tanti, lui è il primo a farlo funzionare: «Semplice», spiega, «attraverso un moto rotatorio è possibile ottenere un moto rettilineo pulsato. La fisica non lo ammette, la realtà sì», dice mostrando il motore in funzione. Per semplificare, il senso è pressappoco questo: a un'azione corrisponde una reazione. Punto. Fine. Prima di Todeschini e Gregori la frase sarebbe continuata con la precisazione «uguale e contraria». Sotto i tuoi occhi, però, ti accorgi che non è così. Come si spiega tutto ciò? «Esiste se concepiamo l'esistenza dell'etere che pervade il cosmo intero. Ecco perchè, diversamente da quello che comanda la fisica classica, quello che hai visto adesso è così non solo sulla Terra». A Valsecca, il paese natale di Todeschini, nel Bergamasco, dove Gregori ha presentato per la prima volta il motore, la gente piangeva. E lui, dando voce a Todeschini, lo ha ribadito: «La forza non esiste, è apparenza. La massima velocità raggiungibile per una particella non è limitata a quella della luce, ma di gran lunga superiore». E così, col «motore impossibile», potrebbe saltar fuori anche un modo diverso per esplorare il cielo.
Paola Dalli Cani
La forza che ci vuole per far ruotare i bussolotti è in avanti, questa si traduce in forza che spinge indietro sul carello, quest'ultima contrasta con la forza centrifuga dei bussolotti che dovrebbe muovere il carello: quindi il carello va avanti ed indietro, non solo avanti. È una cosa abbastanza intuitiva, non serve far conti per capirlo, non capisco come una cosa così stupida possa essere diventata così famosa... figo.
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