Il 50% del territorio abruzzese è a rischio trivellazione per estrazione di petrolio. A lanciare l’allarme è Maria Rita D’Orsogna del Dipartimento di matematica dell’Università californiana di Northridge.
Secondo l’appello lanciato dalla ricercatrice, c’è il rischio di trasformare la regione in un immenso pozzo petrolifero che andrebbe ad intaccare anche il parco nazionale della Majella, e quello del Lazio ed dell’Abruzzo. Spiega la D’Orsogna: «Il petrolio abruzzese è di qualità scadente. È un fango fortemente corrosivo e denso. L’indice API è 12. Il petrolio migliore del mondo è quello texano ad indice 40. Quello peggiore sono le sabbie del Canada con indice 8. Dunque, il petrolio abruzzese giusto un po’ meglio delle sabbie bituminiche dell’Alberta».
Spiega ancora la D’Orsogna: «L’idea dell’Eni è quella trasformare 15 ettari di terra a Montepulciano doc ad Ortona in una raffineria di petrolio creata apposta per desolforizzare le schifezze del sottosuolo abruzzese. Questo centro deve sorgere a 500 metri dal mare. Si parla di costruirne altri due nella piana di Navelli e nel Teramano».
La ricercatrice racconta che la Basilicata dove si trivella da 15 anni, sta morendo: «Io vorrei che per una volta in Italia fossimo preventivi e fermassimo il degrado ambientale prima di iniziare a contare i morti».
Il rapporto guadagno petrolifero/perdita agricoltura è secondo la ricercatrice di Northridge infinitamente basso: «Ad Ortona, il petrolio porterà a 30 posti di lavoro (l’ha detto l’Eni stessa) a fronte di 5000 famiglie nei vari comuni attorno alla proposta raffineria impiegate nell’agricoltura che perderanno il loro sostentamento, per non parlare del turismo e della pesca del luogo. Il petrolio abruzzese non è una risorsa per l’Abruzzo, ma per l’Eni» e conclude: «Un sondaggio fatto dal governo centrale mostra che il 75% degli abruzzesi è contrario alle trivelle. La terra non è dell’Eni ma degli Abruzzesi. Grazie ad altre opere già portate avanti (fra cui la centrale turbogas di Gissi), l’Abruzzo già produce più energia di quanto gli serva. Il petrolio non può coesistere con l’Abruzzo che conosciamo oggi».
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